Le Neuroscienze della visione per spiegare la dislessia

Il nostro cervello non si è evoluto per leggere. Le prime forme di scrittura sono state inventate 6000 anni fa in Mesopotamia e la stampa è comparsa solo nel XV secolo. Fino a pochi secoli fa la lettura è rimasta un privilegio per pochi e in Italia, a metà Novecento, gran parte della popolazione era ancora analfabeta. Non c’è da stupirsi allora se al nostro cervello a volte risultano confuse e affollate le sequenze di simboli messe in fila su una pagina bianca.

Dislessia, un disturbo specifico dell’apprendimento piuttosto comune e spesso ereditabile: interessa il 10% della popolazione e comporta serie difficoltà nell’automatizzazione dell’apprendimento della lettura.

Geni come Einstein o Leonardo da Vinci erano probabilmente dislessici e spesso abbiamo sentito aneddoti sulla creatività delle persone affette da questo disturbo. In realtà, da un punto di vista statistico, la dislessia impatta negativamente sul rendimento scolastico prima e sulla qualità della vita poi di chi ne è affetto.

Oggi sappiamo che diversi fattori concorrono alla sua occorrenza: si dice pertanto che è un disturbo multifattoriale. Tuttavia, per anni si è creduto che la maggior parte dei problemi di lettura derivasse dall’area fonologica, ossia dall’incapacità di associare correttamente i suoni del linguaggio alle lettere corrispondenti: i bambini dislessici ad esempio fanno fatica a discriminare tra ‘p’ e ‘b’.

La lettura è una funzione complessa, a cui concorrono aree del cervello dedicate al linguaggio parlato, aree uditive, aree attentive e aree visive. È proprio su queste ultime che si puntato il dito. L’area identificata è la via magnocellulare, un circuito neurale che dalla retina si arrampica sulla parte dorsale della corteccia cerebrale e che, comunicando con la via ventrale, è specializzata nella gestione visiva dei dettagli spaziali e del movimento.

Trichur Vidyasagar, esperto di neurofisiologia della visione dell’università di Melbourne, nel 1999 ha proposto che le cause della dislessia risiedano in un deficit della via magnocellulare dorsale, associata a funzioni visive e non fonologiche
Negli ultimi decenni la comunità scientifica ha accettato che un deficit, seppur lieve, della via magnocellulare dorsale dovesse essere associato ai problemi di lettura, ma per lungo tempo non è stata in grado di chiarire se questo deficit fosse un effetto o una causa della dislessia.

Il gruppo di Andrea Facoetti, di cui fa parte anche Simone Gori dell’università di Bergamo, è stato il primo al mondo a dimostrare che la presenza sia di un deficit attentivo sia di un deficit visivo in età prescolare sono elementi predittivi dell’insorgenza dei problemi di lettura. I deficit dell’attenzione visuo-spaziale sono presenti prima dell’insorgere del disturbo dislessico e quindi vanno annoverati di diritto tra le sue cause.

Un altro importante risultato è stato ottenuto da Sandro Franceschini, anche lui parte del gruppo di ricerca di Padova. Sappiamo anche che in condizioni normali, il cervello percepisce prima le caratteristiche generali, le forme grossolane (utilizzando l’emisfero destro) e successivamente i dettagli, le caratteristiche locali (con l’emisfero sinistro). Le persone affette da dislessia invece tendono a invertire l’ordine, dando precedenza ai dettagli e faticando a ricostruire la scena nel suo insieme.

I lavori del gruppo di ricerca di Padova oggi hanno importanti implicazioni per i programmi di riabilitazione della dislessia, tradizionalmente concentrati sugli aspetti linguistici. Le terapie innovative sviluppate dal team padovano comprendono il ricorso ai videogiochi d’azione, capaci di migliorare l’attenzione visuo-spaziale dei soggetti, tramite l’esposizione a stimoli rapidi nell’area periferica del campo visivo.

Gli aspetti attentivo-percettivi sono dunque importanti almeno quanto quelli linguistici, e grazie a una precoce identificazione del deficit visivo, è possibile attivare programmi di prevenzione quando il disturbo della lettura non si è ancora manifestato.
Ora la sfida è lavorare ai programmi di prevenzione a partire dalla scuola dell’infanzia

Una rappresentazione del sistema di comunicazione tra via ventrale e via magnocellulare dorsale, il cui deficit causa i disturbi di lettura nella dislessia.

Il ruolo dell’Optometrista nella valutazione e nel trattamento dei disturbi specifici dell’apprendimento

Il ruolo degli aspetti visivi nell’ambito dei disturbi specifici dell’apprendimento è stato in passato presentato da alcuni come causa primaria dei DSA, da altri come fattore ininfluente ai fini delle attività di letto-scrittura.
Vorremmo definire quale sia il ruolo da attribuire agli aspetti visivi rispetto ai DSA, quale sia quello dell’optometrista rispetto alle altre figure coinvolte con la valutazione del bambino dislessico e quale quello degli strumenti di intervento optometrico rispetto al trattamento di tali disturbi.
Vengono presentati inoltre gli ambiti di intervento optometrico, in relazione alla gestione dei pazienti che presentano disturbi dell’apprendimento.

Introduzione
L’optometrista, nella sua pratica clinica, si può trovare davanti a un bambino con un disturbo di apprendimento e deve saperlo riconoscere nella sua specificità, essendo pienamente consapevole del ruolo giocato, in tali casi, dalla funzione visiva. In questi soggetti è necessario, da un lato, effettuare una valutazione optometrica specificamente orientata verso i correlati visivi dei DSA e, dall’altro, è bene non dimenticare l’importanza di riferire per competenza il piccolo paziente allo specialista, in modo da gestire il bambino dislessico in maniera multidisciplinare.

La gestione multidisciplinare del bambino dislessico
Gli specialisti delle psicopatologie dell’apprendimento, dal canto loro, nelle valutazioni di tali pazienti, a volte non effettuano un’analisi completa delle abilità visuo-percettive e, in buona parte dei casi, omettono di richiedere una completa valutazione visiva funzionale, trascurando il ruolo del processo visivo anche in fase riabilitativa. Di conseguenza, nella gran parte dei casi, il bambino si trova a essere privato di un percorso riabilitativo integrato che potrebbe ridurre notevolmente le sue difficoltà.

Il ruolo dei fattori visivi nella lettura
La lettura, l’attività scolastica che nella maggior parte dei casi per prima mette in evidenza il problema di apprendimento del bambino, può essere considerata da più punti di vista. In termini generali, la lettura è il risultato di una serie di processi molto complessi che richiedono al bambino il riconoscimento dei segni dell’ortografia, la conoscenza delle regole di decodifica dei segni grafici in suoni (conversione grafema/fonema) e la ricostruzione delle stringhe di suoni in parole del lessico. A livello visivo, la lettura è operata grazie a una serie di abilità neuro-muscolari e visuo-percettive. Le funzioni coinvolte sono oculomotorie (saccadi e fissazioni), accomodative, di coordinazione e integrazione binoculare, percettive e sensorio-integrative.

Una lettura normale inizia da una elaborazione attiva dell’informazione visiva, eppure a volte questa relazione viene ignorata o dimenticata. La relazione tra visione e lettura sembrerebbe scontata seppure, di fatto, non lo sia per un problema di definizione del processo visivo. Quest’ultimo può essere considerato in termini riduttivi o estesi.
Se la “visione” viene ridotta solamente all’abilità di discriminare lettere piccole da lontano (acuità visiva o visus), decisamente non ha nulla a che fare con la lettura. L’unica relazione esistente tra i due aspetti è, curiosamente, inversa; infatti, il bambino che vede male da lontano è quello che ha le minori probabilità di presentare una difficoltà di lettura. Chi non supera i test di acuità visiva, tipicamente effettuati negli screening scolastici, presenta prevalentemente un deficit di tipo miopico ovvero una condizione refrattiva che non ha correlazione con il disturbo della lettura; quest’ultimo invece è ampiamente correlato con l’ipermetropia, condizione refrattiva che, nella gran parte dei casi, non riduce l’acuità visiva da lontano nei bambini.

Se il concetto di “visione” viene invece esteso a tutte le abilità visive (refrattive, funzionali e percettive) si potrà avere un’idea del significato che tale termine ha in optometria.

Definizioni di processo visivo

“L’abilità di captare l’informazione visiva e di valutarla come base decisionale dei nostri pensieri e delle nostre azioni”. (David Marr, Vision: a computational investigation into the human representation and processing of visual information, W.N. Freeman & Co, San Francisco, 1982).

“L’atto – innescato dalla luce – di ottenere un significato e di dirigere l’azione”. (Robert A. Kraskin, Lens power in action, Optometric Extension Program Foundation, Curr. II, 54-55, 1983)

“L’abilità globale del cervello di estrarre, elaborare ed agire sull’informazione presentata alla retina”. (Stephen Cool, PhD, Definizione di visione, in Sa-net RB, Approccio comportamentale ai problemi visivi, Dispensa del corso, Genova, 1997)

Da queste definizioni, si può evincere che l’aspetto sensoriale è solo l’inizio di quello che è il più complesso sistema percettivo nell’uomo: la visione.

Questo processo sta alla base di diversi modelli di lettura (Cornoldi, Miato, Molin e Poli, 1985; Sartori, 1984). In questo senso, la visione assume sicuramente un ruolo di primo piano nell’ambito delle attività di letto-scrittura, infatti nessuna forma di lettura, a eccezione del Braille, è possibile prescindendo dall’informazione visiva.

I problemi Visuo-percettivi
Per “problema visuo-percettivo” si intende un deficit nell’acquisizione e/o nell’elaborazione dell’informazione visiva (Scheiman e Rouse, 1994). Secondo le due più grandi organizzazioni optometriche americane, questo può interessare tre diverse aree (AA.VV., 1999): la condizione oculare (salute oculare, acuità visiva e stato refrattivo), l’efficienza visiva (abilità oculomotorie, accomodative e binoculari) e la percezione visiva (abilità visuo-spaziali, di analisi visiva e di integrazione sensoriale). Alla valutazione optometrica, i suddetti problemi possono presentarsi anche associati a disturbi specifici dell’apprendi-mento.

Il ruolo dei fattori visivi nei DSA
Esiste un’ampia evidenza del fatto che in Italia, nella maggior parte dei casi di dislessia, il deficit sia relativo alla decodifica fonologica. Per qualcuno questo dato ha implicato che l’immagine visiva fosse scarsamente coinvolta nel deficit conducendolo, nel tempo, verso un’ipotesi di DSA quale deficit non-visivo. Nel tentativo di evidenziare l’assenza di un nesso causale tra gli aspetti visivi e i DSA, qualche autore si è spinto oltre, fino a sminuire – se non addirittura a negare – l’importanza di una buona efficienza visiva ai fini dell’espressione di un livello di lettura adeguato all’età.

Queste posizioni risultano illogiche, non sostenute dai fatti e, di recente, sono state oggetto di discussione e di critica.
Esiste un’ampia evidenza del fatto che molti soggetti dislessici abbiano deficit di tipo visuo-percettivo seppure la letteratura non abbia fornito prove definitive del fatto che i problemi visivi siano una causa sufficiente o necessaria dei disturbi di apprendimento. Pur non essendo un fattore primario dello scarso rendimento nele attività di apprendimento, i problemi visuo-percettivi possono comunque contribuire significativamente alla difficoltà di letto-scrittura del bambino a scuola. Gli aspetti che possono essere coinvolti nella dislessia sono molteplici e, in uno specifico caso, può essere presente più di un fattore contributivo. I problemi visuo-percettivi e quelli fonologici non dovrebbero essere considerati come contrapposti, perché la presenza di uno non esclude necessariamente la presenza dell’altro, anzi spesso le due condizioni sono presenti in co-morbilità nello stesso paziente.

Il ruolo dell’optometrista nella valutazione

L’optometrista non è lo specialista dell’apprendimento ma dell’efficienza visiva, quindi la diagnosi della dislessia non compete a lui, poiché non è quello il suo; questa diagnosi viene invece opportunamente effettuata da neuro-psichiatri infantili e psicologi, specialisti delle psicopatologie dell’apprendimento.

Per l’optometrista non è necessario avere una diagnosi formale di DSA per valutare la funzione visiva di un bambino che lamenta difficoltà scolastiche, anche se l’operatore che si trovasse a sospettare la presenza di un DSA sarebbe deontologicamente tenuto a riferire il piccolo paziente a uno specialista delle psicopatologie dell’apprendimento. Quest’ultimo, a sua volta, nella valutazione del bambino con difficoltà scolastiche si dovrebbe riferire alle linee guida del protocollo dell’Associazione Italiana Dislessia che, nei suoi primi punti, sollecita a effettuare una “valutazione della presenza o assenza di deficit uditivi o della visione” .

In altre parole, la gestione dei disturbi dell’apprendimento richiede sempre un approccio multidisciplinare. L’optometrista dovrebbe essere considerato membro di questo gruppo di lavoro. L’esame optometrico consente di ottenere un profilo delle abilità visuo-percettive che permette al team multidisciplinare di completare la valutazione neuropsicologica del bambino e di differenziare il vero disturbo specifico da un disturbo aspecifico (deficit sensoriale o percettivo in ambito visivo). L’optometrista, inoltre, può co-gestire tali pazienti, trattando i disturbi secondari alle disfunzioni visuo-percettive.

Il ruolo dell’Optometrista nel trattamento

Lo specialista delle psicopatologie dell’apprendimento è responsabile, in termini generali di trattamento, della definizione del percorso riabilitativo più adatto alle necessità del bambino con DSA. Sarà quindi lui/lei a definire quali terapie siano da ritenere prioritarie e a definire la sequenza dei vari interventi riabilitativi (logopedia, psico-motricità, etc.) rispetto al caso preso in esame. In questo contesto, l’optometrista è responsabile della definizione, programmazione ed esecuzione del programma di training visivo.

Quindi, un optometrista che rilevi un deficit visivo in un soggetto con un disturbo di apprendimento non dovrebbe mai affermare di essere in grado di “curare” la sua dislessia. Nessun tipo di trattamento visivo avrà grandi probabilità di migliorare le abilità fonologiche del bambino dislessico. Il training visivo optometrico infatti non tratta direttamente i disturbi di apprendimento ma si rivolge ai problemi visivi, funzionali e percettivi, che possono interferire con tali disturbi o, più in generale, ridurre il potenziale d’apprendimento del bambino.

I problemi visuo-percettivi presenti in co-morbilità con i DSA peggiorano ulteriormente la già scadente performance del bambino nelle attività di letto-scrittura e, l’uso di lenti, prismi, filtri o training visivo optometrico, si inquadra nelle strategie di supporto al bambino. In questo senso, l’uso degli strumenti optometrici di intervento dovrebbe essere considerato alla stregua di altre terapie (es. psicoterapia, assistenza pedagogica, psico-motricità, terapia occupazionale, etc.) che, pur senza avere l’ambizione di curare tout-court la dislessia, vengono diffusamente utilizzate nei casi di DSA dando, quando indicate, un utile contributo.

Questo implica che un bambino con un deficit fonologico riconosciuto e diagnosticato possa ancora trarre grande beneficio dalla valutazione e dal trattamento dei deficit visuo-percettivi, qualora presenti.

Gli stessi problemi visuo-percettivi possono essere presenti anche in casi di difficoltà di apprendimento più lievi e meno specifici. Questi deficit visivi (non associati a DSA) possono presentarsi alla valutazione clinica con sintomi simili a quelli tipici della dislessia (es. lettura incerta, inversione di lettere/sillabe, difficoltà di comprensione del testo letto e di mantenimento dell’attenzione, etc.) e, in assenza di una valutazione visiva formale, potrebbero essere mal interpretati e considerati come attribuibili a un disturbo specifico dell’apprendimento. In questi casi i risultati ottenibili attraverso l’uso appropriato di lenti, prismi, filtri o training visivo opto-metrico sono in genere significativi e documentati nei molti studi pubblicati nella letteratura.

Ambiti di intervento optometrico
Di seguito vengono elencate una serie di situazioni nelle quali l’optometrista può inter-venire efficacemente allo scopo di eliminare o ridurre le difficoltà visive del bambino:

  • Compensare le condizioni refrattive (miopia, ipermetropia o astigmatismo) che possono impedire al bambino di ottenere un’immagine nitida della lavagna e/o del libro.
  • Esaminare i problemi visivi funzionali che possono ostacolare una acquisizione efficiente dell’informazione visiva (abilità di controllo della motilità oculare, dell’accomodazione e della visione binoculare).
  • Migliorare l’efficienza visiva nell’ambito delle attività che il bambino svolge guardando da vicino (20-50 cm).
  • Valutare il livello di sviluppo delle abilità percettive (di analisi visiva, integrazione sensoriale e visuo-spaziali) coinvolte nei processi di letto-scrittura.
  • Trattare e/o gestire qualsiasi problema, condizione o disfunzione visiva che possa impedire o ostacolare il normale processo di apprendimento.
  • Operare affinché i suddetti problemi visivi non interferiscano con le altre modalità di trattamento alle quali è sottoposto il bambino.

Prospettive
In questo ultimo periodo, anche grazie a vari interventi congressuali e a pubblicazioni recenti, l’interesse verso i correlati visivi dei DSA sembra essere cresciuto. È bene che l’optometrista coinvolto nella valutazione e nel trattamento di questi casi lavori in modo chiaro, intellettualmente onesto e senza lasciare spazi a fraintendimenti sul suo ruolo o su quello degli aspetti visivi nei DSA.
È auspicabile che gli obiettivi elencati di seguito siano adottati dall’optometrista poiché sono strumentali ai fini di una più diffusa conoscenza e uso da parte degli specialisti delle psicopatologie dell’apprendimento delle varie opzioni di intervento optometrico, nell’interesse primario dei piccoli pazienti che a tutti noi si rivolgono:

  • Dare alle altre professioni, e in particolare a quelle interessate ai disturbi dell’apprendimento, una migliore comprensione degli ambiti di competenza dell’optometria dell’età evolutiva.
  •  Sensibilizzare il pubblico (e gli altri professionisti) sull’importanza di effettuare un esame specifico per la valutazione visiva dei bambini con DSA.
  •  Sollecitare i soggetti a rischio a effettuare un esame visivo mirato da un operatore specializzato nella valutazione e nel trattamento dei problemi visuo-percettivi collegati all’apprendimento.
  •  Impedire che un bambino con DSA debba rassegnarsi a convivere con una disfunzione visuo-percettiva (e con i disagi e i sintomi che ne conseguono), solo perché il suo problema visivo non è stato indagato, valutato, riconosciuto e trattato.
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